USB PUBBLICO IMPIEGO VERSO LA CONFERENZA NAZIONALE D'ORGANIZZAZIONE
“LAVORATORI PUBBLICI BENE COMUNE. Organizzare il conflitto, conquistare il futuro”
Con questa incisiva premessa si apre la Conferenza Nazionale d’Organizzazione dell’Unione Sindacale di Base Pubblico Impiego, che si terrà a FRASCATI (ROMA) - Centro Giovanni XXIII, Via Colle Pizzuto 2 - dal 25 al 27 novembre 2011.
Il processo di trasformazione della pubblica amministrazione, avviato nel 1993 con la delegificazione del rapporto di lavoro attraverso il DLgs 29, è stato accompagnato in questo ultimo quindicennio da una vera e propria campagna ideologica scatenata contro i lavoratori pubblici, determinando uno spostamento del quotidiano agire sempre più al servizio dell’impresa e sempre meno nei confronti dei cittadini e dello stato sociale.
L’accusa che i lavoratori pubblici sono privilegiati e improduttivi, portata avanti dai governi senza distinzione di sorta, con il sostegno generalizzato del padronato, del sistema mass mediatico e dei sindacati confederali, è riuscito a fare breccia anche in ampi settori dello stesso lavoro pubblico permettendo modifiche sostanziali come le riforme della contrattazione, comprimendo sempre più i salari, riducendo i diritti e gli spazi di democrazia sindacale.
L’apice di questo processo si è registrato con la c.d. riforma Brunetta che in perfetta scia della demagogica campagna avviata dal governo Prodi contro i cosiddetti fannulloni, facendo leva del famigerato “memorandum sul pubblico impiego” ha definitivamente affossato la pubblica amministrazione passando come uno schiacciasassi sui diritti e sui salari dei lavoratori pubblici.
Questo disegno, se non si è completamente realizzato anche a causa delle troppe contraddizioni insite nei vari decreti e nelle modalità perseguite per la realizzazione dello stesso, mettendo in difficoltà finanche quei sindacati divenuti ormai complici del governo, è stato per merito della forte opposizione che la parte viva dei lavoratori pubblici e noi con essa, sono riusciti a mettere in campo.
L’instabilità formale del quadro politico, alla fine, si è sempre ricomposta come per magia di fronte alle politiche di attacco alle funzioni pubbliche e alle condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti pubblici (attacco al par time e alla vigilanza, sono solo alcuni degli ultimi eventi, pre estivi, di una lunga catena).
Nel mese di agosto gli effetti della crisi economica globale hanno colpito duramente, in particolare il nostro paese che, accomunato ad altri paesi deboli all’interno della UE ( Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia , Spagna), fa parte di un gruppo ora definito, con un termine spregiativo, PIIGS.
Alla situazione interna, che è generata da “piccole” scelte di governo nazionale e dal più “grande” bisogno si sostenere le mire del polo economico/finanziario europeo nella competizione internazionale, si aggiunge quindi la fibrillazione nella crisi dei mercati finanziari internazionali che forza tutti paesi occidentali ad un rientro dal cosiddetto “Debito Sovrano”.
Un’invenzione mediatica per ingigantire il “vecchio Debito Pubblico”, trasformandolo in qualcosa che minaccia la “sovranità nazionale” dei popoli. E nel frattempo, con la lettera del 5 agosto 2011 della BCE a firma di Mario Draghi e Jean-Claude Trichet, si sancisce la fine di tale sovranità, imponendo scelte economiche draconiane simili a quelle greche anche all’Italia e attraverso la politica economica dell’UE a tutti i paesi nell’area dell’Euro in difficoltà di bilancio.
La crisi mondiale sembrerebbe proporre nuovi modelli sociali che ridistribuiscano la ricchezza interna, ma proprio la sistematicità della crisi induce invece ad una feroce lotta di classe dall’alto verso il basso e non viceversa, con conseguente e continua contrazione dei diritti e delle retribuzioni.
L’uso della spesa sociale e del pubblico impiego come bancomat del governo in funzione dello smantellamento dello stato sociale, non si è esaurito, e sta avendo una profonda manifestazione nelle manovre economiche permanenti avviate in estate con le quali si accelera brutalmente quel processo di trasformazione della pubblica amministrazione avviato all’inizio degli anni 90.
Questo sta producendo una rapida trasformazione del quadro politico-economico, un forte ridimensionamento del piano contrattuale, della riscrittura del rapporto di lavoro pubblico e privato attraverso apposite leggi o con l’inserimento di subdoli articoli come è avvenuto con l’articolo 8 nell’ultima manovra economica, della negazione della democrazia sindacale e del lavoro, sancita unitariamente dal sindacalismo complice con l’accordo del 28 giugno u.s. e definitivamente formalizzato il 21 settembre scorso con buona pace di CGIL, CISL e UIL, queste ultime alla spasmodica rincorsa in vista delle lezioni RSU .
Con la lettera d’intenti presentata da Berlusconi alla UE il 26 ottobre scorso, l’attacco ai lavoratori ed in particolare quelli pubblici, si fa ancora più pesante: taglio di centinaia di migliaia di posti di lavoro nella pubblica amministrazione con relativa messa in mobilità coatta e cassa integrazione, decurtazione dei salari anche attraverso l’applicazione totale della cosiddetta riforma Brunetta, svendita del patrimonio pubblico, privatizzazione dei servizi e delle funzioni amministrative.
Intenti questi, visto il raggiungimento dell’unità nazionale con il governo Monti, dovrebbero essere attuati in tempi rapidi e che noi, ultimo baluardo in termini sindacale nella difesa dei diritti generali dei lavoratori dovremmo cercare in tutti i modi di rispedire al mittente.
Questi sono solo alcuni aspetti dello scenario dinamico entro il quale il sindacato indipendente e conflittuale deve muoversi. Si è ristabilito in via definitiva il governo unilaterale dell’impresa nella produzione, dentro un quadro di norme non più universale, ma stabilito nella singola azienda per mezzo della riforma della struttura contrattuale nel lavoro privato e per Legge, anziché attraverso la trattativa per i dipendenti pubblici. Tutti gli elementi già individuati restano e pesano sui lavoratori pubblici: mancato rinnovo contrattuale sino al 2017 almeno, blocco del turn over, precarizzazione del lavoro e della vita, attacco alla previdenza pubblica e fondi pensioni privati, fine degli integrativi e della maggiore professionalità acquisita, blocco delle carriere.
L’imposizione internazionale delle politiche economiche ha effetti sociali nazionali che sono legati anche ai margini di scelta che il singolo paese ha per l’utilizzo delle scarse risorse economiche disponibili (più o meno Stato sociale, servizi pubblici o privati, tutela o meno dei beni pubblici). La tassa patrimoniale non voluta, viene invece pagata con la svendita della proprietà pubblica: il Patrimonio dello Stato.
La vendita degli ultimi gioielli pubblici riguarda anche le aziende strategiche (energia, trasporti e comunicazioni). Questo processo di privatizzazione del Patrimonio Pubblico assume ora caratteristiche palesi, ma è un percorso cominciato da alcuni decenni con il definanziamento progressivo ed inesorabile di altri servizi pubblici “fondamentali”: la sanità (piani di rientro e chiusura di moltissimi ospedali e riduzione dei posti letto,.), l’istruzione (dagli asili all’università passando per la ricerca), la previdenza (dopo il tentato scippo del TFR ora anche i fondi integrativi per i dipendenti pubblici tra cui Sirio,) etc.
L’opposizione politica al governo Berlusconi nella sostanza non ha ostacolato le scelte operate, sapendo anche che sono imposte dalla Unione Europea e la ricetta delle “opposizioni” non era dissimile da quella proposta dal governo Berlusconi, basti vedere le ricette del governo Monti.
Basti pensare in tal senso alle politiche delle tante amministrazioni locali governate dal centro sinistra o alle ipotesi che sono state enunciate come rimedi alla crisi finanziaria dal leader del PD, Bersani: la riforma previdenziale, la condivisione della scelta di privatizzare il patrimonio e le aziende pubbliche, le esternalizzazioni di servizi pubblici, il tutto accompagnato magari da un “timida” tassa patrimoniale.
Poco distante questo programma da quello del governo, che prevede di saldare il “debito sovrano” con la vendita di ricchezze pubbliche ai privati, alle banche, alla speculazione, alla finanza criminale, riducendo salari, pensioni e diritti; che ha alzato l’IVA di 1 punto percentuale, innescando un meccanismo inflattivo che ha ulteriormente eroso il già debole potere d’acquisto dei salari pubblici e privati, con la reintroduzione dell’ICI.
Questa situazione impone un adeguamento di tutta l’organizzazione per costruire una strategia unitaria di vero e proprio blocco sociale antagonista e con la categoria del Pubblico Impiego chiamata alla ridefinizione del proprio assetto organizzativo e d’azione.
Questo percorso riorganizzativo, che sarà discusso nella Conferenza d’organizzazione in programma per il 25, 26 e 27 novembre 2011, il cui risultato deve divenire essere patrimonio di tutti, a partire da ogni singolo delegato per arrivare agli iscritti e ai lavoratori, se concretamente ci si vuole riappropriare di quel protagonismo offuscato ed affossato, nel tempo, secondo la logica dell’azione della delega in bianco.
I LAVORATORI DEL PUBBLICO IMPIEGO SONO IL "BENE COMUNE" DEL PAESE